Omnicanale che?

Cominciamo da una definizione:
Il cliente ingaggia il brand utilizzando più e diverse modalità.

Nel nostro caso (agenzie/autoscuole) potrebbe venire incuriosito dallo spot radiofonico o da un banner su Autoscout. Poi potrebbe trovarci attraverso una ricerca su Google con parole specifiche oppure potrebbe cercare il nome del brand. Infine potrebbe chiamare direttamente l’agenzia attraverso il numero che ha visto sul giornale di quartiere.

Omnicanalità significa unificare tutti questi punti di contatto al fine di ricostruire un’immagine unica, veritiera e realistica del cliente.

L’ Osservatorio Omnichannel Customer Experience della School of Management del Politecnico di Milano ha voluto capire quanto le imprese abbiano compreso e applicato questo approccio al cliente:
https://www.zerounoweb.it/mobility/omnicanalita-tecnologie-e-processi-per-assicurare-continuita-al-rapporto-impresa-cliente/

A me preme però evidenziare un aspetto della questione. Nel post si può leggere:

“È arrivato il momento in cui l’azienda, proprio per assicurare un’esperienza fluida tra i canali di contatto, deve abbattere i silos interni e condividere i dati”.

E ancora:

“Raccogliere tutti i dati presenti in azienda (provenienti dall’ERP, dal CRM da tutti i sistemi IT) e unirli a quelli che arrivano dai negozi (dai sistemi di cassa per esempio), dalle mobile app, dai partner di filiera: insomma, mettere a fattor comune tutte le possibili informazioni strutturate o destrutturate e farle dialogare tra loro è il primo, fondamentale, aspetto su cui si deve basare un approccio omnicanale.”

Bene, ma noi (Sermetrini) non siamo un’azienda!
Vero, ma nulla ci vieta di comportarci come un’unica azienda.

Io credo che sia necessario prendere coscienza che nessuna agenzia/autoscuola può ragionevolmente pensare, da sola, di mettere a leva le moderne tecnologie di engagement sia per la mancanza di personale specificatamente formato sia per gli elevati costi da affrontare.

Al contrario, un progetto unico e condiviso, che sia in grado di creare valore vero e misurabile per noi soci, può permetterci di realizzare soluzioni performanti in grado di farci primeggiare su chiunque altro (ACI compreso).

Sullo stesso argomento, qualche tempo fa, postavo “George e la mutualità”:
https://www.easysta.it/george-e-la-mutualita/

“Mutualità e condivisione” sono parole ancora dannatamente attuali.

 

S-AdWords


Google AdWords si vanta di permette alle imprese di tutte le dimensioni, comprese le microimprese (come le nostre), di raggiungere potenzialmente qualsiasi cliente.
Il funzionamento, lato cliente, è molto semplice e tutti l’hanno visto in funzione: Faccio una ricerca su Google e compaiono, oltre ai risultati organici anche quelli a pagamento.

Cerchiamo però di entrare più in profondità per quel che riguarda il lato impresa.

Se il mio messaggio è: “Vieni nella mia agenzia perché sono il più bravo” difficilmente qualcuno perderà tempo per verificare se è vero.
Il messaggio deve essere utile al nostro ricercatore: “Come si compila l’atto di vendita di un auto?”. Ecco qui certamente avremo qualche click.

A questo punto però devo realizzare una risorsa che risponda alla domanda e oggi il formato più in voga è il video.

Il cliente arriva sul sito e ho l’occasione per convincerlo che sono il più bravo e gli chiedo di comunicarmi la sua Email o il numero di cellulare.
Quanti mi daranno i propri dati? Pochi o nessuno, ancora non basta.

Devo convincerlo che può ricevere un’altra risorsa molto utile in cambio dei suoi dati (Le 10 cose che devi assolutamente sapere prima di comprare un auto?).
A questo punto ottengo l’indirizzo Email e posso spiegargli in dettaglio il mio servizio e magari gli mando anche uno sconto valido solo per lui.

Peccato però che il venditore sia stato convinto dal cugino che l‘agenzia ACI, della città vicina, sia molto più economica e che la segretaria è molto più carina. Andranno li.

Ricapitolando, abbiamo speso soldi per:

  • Google AdWords
  • La landing-page del primo contenuto
  • La realizzazione del video su come si compila un atto di vendita
  • La realizzazione del secondo contenuto
  • Gli strumenti di registrazione del lead e di invio del contenuto (marketing automation)

E nonostante abbia fatto tutto bene ci sono altri fattori che non posso controllare (la distanza, le amicizie, le convinzioni errate…).

Quindi dobbiamo lasciare perdere?
No, però dobbiamo rendere molto più efficiente tutto l’ambaradan.

E’ necessario che il costo di realizzazione dei contenuti sia unico per tutte le agenzie (Sermetra?).
Anche il motore di raccolta e analisi dei lead dovrebbe essere unico e le agenzie dovrebbero essere chiamate a pagare esclusivamente le conversioni (i clienti che sono effettivamente giunti in agenzia).

Naturalmente il costo per l’agenzia dovrebbe essere proporzionale all’entità dei ricavi previsti per quel servizio. I servizi a margine zero dovrebbero essere spinti solo da una buona attività di SEO.

Sermetra, come ACI + di ACI

Ci sono parole che, per diffusione e notorietà, racchiudono in sé il proprio significato e non necessitano di ulteriori spiegazioni.

Per esempio Jeep è un brand eppure per molti è la parola che identifica un tipo di auto (da fuoristrada). Così come, per monti bambini, dire che “è una Ferrari” non significa necessariamente che è stata costruita nella fabbrica di Maranello ma che “è veloce come”.

Purtroppo o per fortuna anche nel nostro mondo c’è un brand che non ha bisogno di spiegare di cosa si occupa, una famosa pubblicità recitava “basta la parola”: ACI.
Il brand viene immediatamente abbinato al bollo auto, alle pratiche auto e al soccorso stradale.
Molto persone sono addirittura convinte che ACI sia un ente pubblico, alla stregua del Ministero dei Trasporti o della Regione Lombardia.

In ogni caso quello che ci interessa è: Come sfruttare la notorietà di ACI per dire agli automobilisti cosa facciamo noi?
La risposta è nella pubblicità comparativa.

Al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, in Italia (ma anche nella UE) non è la forma pubblicitaria più utilizzata. Il problema è che, nonostante sia consentita, apre alle imprese la possibilità di subire dei contenziosi legali da parte del brand comparato.

Eppure voglio pensare che, con un po’ di fantasia e del sano buon senso, possiamo trovare un messaggio corretto e che permetta all’automobilista/consumatore di ottenere un’informazione immediata sul fatto che esiste una vera alternativa.

Il car sharing è un’opportunità persa?

In passato ho potuto partecipare, per conto di UNASCA, all’Assemblea Pubblica ANIASA (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici):
http://www.aniasa.it/

In quell’occasione ho sviluppato alcune considerazione che voglio condividere con te.

Il car sharing è il nuovo mercato
Il numero di utenti che utilizzano il car sharing, nelle sue diverse forme, è in continua crescita, così come il numero di km percorsi.
Questo determina che una buona percentuale di autenti, dal 7 al 10%, ha dichiarato di aver rinunciato all’acquisto della seconda auto; mentre il 2 – 5% ha addirittura venduto l’auto.

Mi rendo conto che questi sono fenomeni molto visibili nelle grandi città, mentre sono quasi sconosciuti nelle piccole città di provincia.
Ma quello che più mi preoccupa è che, questo mondo in pieno fermento, ci stia “scivolando sotto” senza che si riesca a ritagliarci il nostro ruolo.

I dati ci dicono che l’adesione on-line alle varie compagnie (Car2Go, DriveNow, Enjoy ecc) è in continua crescita, quindi l’utilizzo di una rete come la nostra sembra non possa interessarli.
Eppure la concorrenza sempre più agguerrita le obbligherà a differenziarsi sulla modalità di business e il primo che saprà tranne beneficio da una rete “reale” e diffusa come la nostra potrà averne un vantaggio considerevole.

Infine non dobbiamo scordarci che il Car pooling e il Peer to peer che sono scenari ancora (quasi) inesplorati, quindi aperti a iniziative dirette da parte nostra.

Secondo te che ruolo possiamo ritagliarci nel car sharing?

Il piano editoriale è morto?

?

Mi rifaccio al post-podcast di Gianluca Diegoli:
https://www.minimarketing.it/2017/10/il-piano-editoriale-e-quasi-morto.html

Gianluca, non si capisce quanto provocatoriamente, scrive o meglio parla della morte del piano editoriale organizzato.
Dico organizzato per intendere tutte quelle realtà dove ci sono una o più persone pagate per creare e postare contenuti su Facebook (ma anche sugli altri social), non quelli che postano contenuti nella pagina della propria agenzia quando hanno due minuti di cazzeggio.

Secondo Gianluca sono soldi (stipendi) sprecati in quanto la visione di questi post, senza un’adeguata sponsorizzazione (senza pagare Facebook) è ormai infinitesimale.

In sostanza, anche i contenuti di qualità, si perdono come gocce d’acqua nella marea di contenuti pubblicati a getto continuo.

Quindi cosa bisogna fare? Abbandoniamo Facebook?
Non esattamente, restiamo su facebook ma i contenuti vanno pensati e costruiti come completamento dell’esperienza degli utenti. Si proprio utenti perché in questo momento non sono ancora clienti e non dobbiamo pensare a loro come tali.

La sequenza corretta:

  1. Creare un contenuto veramente utile per il nostro utente
  2. Sponsorizzare il contenuto
  3. Agganciare il nostro utente
  4. Fornire uno o più contenuti costruiti in funzione delle sue necessità
  5. Fornire il contenuto giusto per trasformarlo in cliente

E’ la strategia giusta anche per le nostre attività?
Probabilmente si anche perché non possiamo certo dire che disponiamo di contenuti wauuuu, ma possiamo impegnarci per contenuti di aiuto ed educativi (ma non barbosi! 😉

Telepass e la lavanderia

http://www.reteconomy.it/programmi/economy-up/2017/ottobre/10-fai-la-spesa-e-paga-con-auto/integrale.aspx

In questo video Gabriele Benedetto ci parla dei nuovi servizi digitali di Telepass.
Alcuni sono realmente innovativi e uno, in particolare, mi ha colpito e mi permette di scrivere questo post.

Telepass immagina che la tua auto possa essere aperta da “qualcuno” che debba consegnare un tuo acquisto (Amazon?) o concludere un servizio.
Per esempio la lavanderia potrebbe ritirare gli abiti da pulire dalla tua auto e consegnarteli puliti rimettendoli sempre sull’auto.

In pratica il tuo dispositivo Telepass, adeguatamente interfacciato con il sistema di apertura/chiusura dell’auto, dovrebbe autorizzare l’accesso al personale della lavanderia.

E’ uno scenario possibile? Secondo me solo nella mente degli ingegneri di Telepass (ma probabilmente neppure li).

Avete mai sentito di una persona che lascia la seconda chiave dell’auto in lavanderia in modo che, a lavaggio finito possano caricare gli abiti in auto?
Già oggi sarebbe possibile, non serve la tecnologia, eppure nessuno lo fa, perché?

Semplicemente perché le persone non vogliono che un estraneo, anche se “conosciuto” apra la propria auto se non in presenza del proprietario.

Quindi cosa vuole fare Telepass? Vuole solo modificare il comportamento delle persone!

Buona fortuna

Otzi e il moderno consumatore

Oetz

Quest’estate ho fatto visita a Otzi nel Museo archeologico dell’Alto Adige di Bolzano.
Quello che mi fa impazzire è che quest’uomo, vissuto 5.300 anni fa, aveva, non solo lo stesso DNA, ma anche le stesse capacità intellettive di un uomo dei nostri giorni.

Quindi com’è possibile che Otzi si sia trasformato nel moderno cittadino europeo senza che siano intervenute le leggi che regolano l’evoluzione naturale?
Infatti, al contrario degli animali che modificano i propri comportamenti solo a seguito di mutazioni genetiche, l’homo sapiens progredisce infischiandosi della legge di Darwin.

Il libro che ho letto quest’estate “Da animali a dei: Breve storia dell’umanità” ci dice che è tutto merito della cultura, o meglio delle culture che hanno accompagnato Otzi fino ai giorni nostri.

Le invenzioni astratte, che esistono solo nella mente umana, come le religioni, il capitalismo, il denaro, il veganesimo hanno elevato un animale che viveva solo di ciò che raccoglieva e cacciava, a diventare un semi-dio.

E’ stato l’istinto sociale dell’homo sapiens che ha permesso lo sviluppo di questi fenomeni collettivi (le culture), nelle quali migliaia di esseri umani condividono le stesse credenze, gli stessi valori, le stesse aspettative e sogni.

Così, quando ci si chiede se un certo prodotto o servizio potrebbe interessare il moderno consumatore, bisognerebbe pensare a Otzi e calarlo nella cultura che sta dominando le proprie convinzioni e scelte.

Dobbiamo sforzarci di comprendere e condividere la sensibilità, l’orientamento valoriale, la visione del mondo del moderno consumatore, sviluppando affinità di pensiero e di emozioni.

Il vero cambiamento non è nella tecnologia ma nei comportamenti

Mi rifaccio a questo articolo:
Impatto della digitalizzazione sulla distribuzione assicurativa: ancora una “rivoluzione tranquilla”?
https://www.assinews.it/07/2017/impatto-della-digitalizzazione-sulla-distribuzione-assicurativa-ancora-rivoluzione-tranquilla/660042393/?utm_source=newsletter-apr&utm_medium=email%20utm_campaign=Newsletter%2BProspect

per evidenziare alcuni aspetti che ci riguardano direttamente:

Le assicurazioni non sono (e non possono pensare di essere) indenni dal cambiamento

“Nei prossimi cinque anni la distribuzione potrebbe essere il dominio che risentirà con più forza delle tecnologie digitali, in particolare nella vendita delle polizze auto e abitazione (o comunque di prodotti standardizzati). “

Le tecnologie digitali stanno impattando pesantemente su tutte le attività, sperare che non ci riguardi o che comunque “non interessa ai miei clienti” è un vero suicidio.

Aumentano i canali e di conseguenza la concorrenza

“La digitalizzazione ha arricchito il ventaglio di servizi ai consumatori di diversi canali, tra cui il sito web, l’e-mail, la chat live, l’applicazione mobile, gli sms, i forum e i social.
Secondo uno studio di BCG/NICE, i clienti assicurativi utilizzano in media 5,1 canali differenti e per il 15% dei consumatori, questo numero potrebbe raggiungere 10.”

Mentre in passato il mio assicuratore era il primo e unico canale utilizzato per informarsi e acquistare, oggi banche, aggregatori e (false) compagnie sul web costituiscono un’alternativa valida e facilmente consultabile.

Cercare è una cosa, comprare è un’altra

“Non è detto poi che l’acquisto venga fatto nello stesso luogo dove si è cercata l’informazione. La strategia « research-online-purchase-offline » (ROPO) rimane popolare, anche per le coperture standard. Per esempio se il 50% dei clienti assicurativi auto negli USA fa preventivi on-line, solo il 10% sottoscrive on-line una polizza.”

Della serie, la partita è finita … quando il cliente paga. Il mio assicuratore non parte già battuto in partenza, ma solo se è in grado di ritagliarsi spazio e visibilità tra le altre proposte (assomigliando anche un po alle altre proposte).

Il vero cambiamento non è nella tecnologia ma nei comportamenti

“Le tecnologie non hanno eliminato agenti e broker, ma hanno creato nuovi tipi di intermediari. Allo stesso tempo, gli intermediari tradizionali evolvono e si servono delle nuove tecnologie per migliorare il modo in cui interagiscono con i clienti, sia di persona che a distanza.”

“Ma per avere successo, non sarà sufficiente creare un app mobile o un portale per i clienti on-line. Ciò che è necessario prima di tutto è un cambiamento di fondo del funzionamento e della mentalità dell’organizzazione, che comprende tutti gli aspetti della catena del valore, dal ruolo dell’agente alle nuove funzionalità di analisi di dati avanzate.”

“ I canali digitali saranno alla fine utilizzati in tutte le tappe dei processi distributivi, dalla raccolta di informazioni alla firma del contratto, fino al servizio post vendita.”

“La sfida per gli assicuratori, come per gli intermediari tradizionali è la modernizzazione dei loro sistemi e modelli di business per sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia digitale. Chi si lascia sfuggire l’occasione sarà verosimilmente sempre più emarginato nel mercato.”

Amen

Anche nel regno del cazzeggio funzionano le risposte dannatamente serie!

Mi rifaccio a questo articolo:
Consumers Aren’t Looking to Buy From Brands That Are “Cool” on Social
https://sproutsocial.com/insights/data/q2-2017/

che prova a rispondere alle seguenti domande sulla presenza dei brand sui social:

  • Cosa vogliono trovare i consumatori sui social?
  • Dove vogliono trovarlo?
  • In quale forma?
  • E se poi non faccio ridere?
  • Ma poi è così importante essere cool?

Ma partiamo dall’inizio,
Cosa vogliono trovare i consumatori sui social?

La maggioranza dei consumatori acquista da brand che sono onesti (86%), utili (78%) e amichevoli (83%).
Ora, dando per scontato che l’onestà sia uno dei valori fondanti della cultura aziendale (e per Sermetra è così), i dati ci dicono che bisogna essere utili con un tono amichevole.
L’utilità passa necessariamente dal fornire risposte serie e professionali.

Dove vogliono trovarlo?

Qui non c’è storia per nessuno (neppure per YouTube!); l’83% dei consumatori desidera vedere la personalità del brand su Facebook.

Con quale forma?

La soluzione sembra quella di usare i video per rispondere alle domande e instaurare una conversazione (rapida).
Parla con il tuo pubblico nel modo in cui il tuo pubblico ti parla e fornisci loro quello che cercano, non quello che vorresti fornirgli tu.

E se non faccio ridere?

Un messaggio divertente, se non è interessante e sopratutto rilevante, può rapidamente scivolare nel fastidioso. Questo è un grosso problema quando il 51% dei consumatori sostiene che smetterebbe di seguire un marchio che li ha infastiditi.

Ma poi è così importante essere cool?

Sembrerebbe di no se è vero che il mondo dei servizi non è classificato neppure tra le prime 10 industrie dove i consumatori amano vedere la personalità dei brand.
Rispondere alle domande, inviare offerte/promozioni, postare contenuti educativi sembra essere molto più importante che essere divertenti.

Conclusioni
La ricetta sembra essere un po’ questa:

  1. Ascolta i tuoi clienti
  2. Prepara dei video che danno risposte utili e professionali alle loro domande ma con un tono amichevole
  3. Posta il tutto su facebook
  4. Rispondi velocemente alle ulteriori richieste

Concentrati sulle vincite che durano dando ai consumatori ciò che vogliono: Comportamenti e contenuti onesti, utili e amichevoli.

Più del legno i sensori

Vi segnalo questo articolo che ci fornisce alcuni punti di riflessione anche per i nostri uffici:
Smart retail: cosa significa mettere l’IOT al servizio di brand e consumatori
http://www.internet4things.it/iot-library/smart-retail-cosa-significa-mettere-liot-al-servizio-di-brand-e-consumatori/

Non fatemi perdere tempo
Se esistono, come esistono, tecnologie che vi permettono di non farmi perdere tempo, U S A T E L E!

Secondo i ricercatori, quasi 8 shopper su 10 sognano supermercati intelligenti, senza file e senza l’obbligo di leggere i codici a barre dei prodotti acquistati.
L’uso di sensori che abilitino il riconoscimento automatico è tra le massime aspirazioni dei clienti italiani che, di anno in anno, alzano l’asticella delle aspettative, iniziando a pensare che oltre allo smartphone ci siano molte altre cose che possono essere smart.

Il comportamento delle persone ci dovrebbe interessare, sempre!

La società di ricerca McKinsey ha rilevato come nella distribuzione i retailer che fanno uso dei Big Data hanno aumentato i propri margini del 60%. In che modo? Analizzando i comportamenti di acquisto, ovvero lo scontrino, associato alla carta fedeltà e alle varie interazioni con le promozioni, gli annunci, l’e-mail marketing, le eventuali newsletter che si ricevono periodicamente e periodicamente si aprono. Tutto questo rappresenta una montagna di informazioni da collezionare e da analizzare per definire un’offerta sempre più a misura di cliente.
Studiare la customer experience prima ancora della shopping experience è diventato fondamentale per capire in che modo un cliente si avvicina verso un prodotto o un servizio.

Purtroppo i dati sul “come, quando e quanto” il cliente ingaggia l’agenzia ancora non li abbiamo.
Per ora solo l’agenzia è in grado di conoscere quante volte si presenta quello specifico cliente, quanto si ferma, per fare quali attività. Ma poi non ha gli strumenti per analizzare i dati e renderli confrontabili con quelli provenienti da altre agenzie.
Il mio vecchio post su George, purtroppo, è ancora molto di attualità.

Più del legno i sensori

Come ultimo requisito, poiché non è più possibile distinguere in compartimenti stagni le dimensioni del fisico e del virtuale, occorre che lo store sia sempre più connesso, così da rendersi presente al consumatore secondo la forma a lui più accessibile, accompagnandolo in tutte le fasi di acquisto.

Il design, indispensabile per perseguire quegli obbiettivi di uniformità e bellezza degli arredi, deve essere affiancato da metodi di studio su sensori e output visivi per semplificare la vita al cliente (e a noi).