Il fascicolo digitale di ACI è vera rivoluzione?

Dopo aver letto l’articolo pubblicato su Ansa on-line:

http://www.ansa.it/canale_motori/notizie/componentie_tech/2019/03/04/acistop-a-truffe-del-contachilometri-con-fascicolo-digitale_e901f65c-194f-4e48-bc46-e69bd24185b6.html

Mi sono chiesto se il fascicolo digitale annunciato da ACI rappresenta una vera rivoluzione oppure se sono solo “effetti speciali”.

Vediamo quindi di entrare più in profondità nelle utilità elencate:

Truffe sui contachilometri

Il Ministero dei Trasporti, con l’introduzione dell’obbligo di riportare il numero di chilometri percorsi sul tagliando della revisione, ha già attenuato di molto il problema.

La procedura è semplice ed efficace; un soggetto terzo (il tecnico della revisione) legge e annota i km percorsi alla data della revisione. Da quel giorno, nessuna manomissione sul contachilometri, lo potrebbe riportare ad un valore inferiore a quello annotato.

Ricambi falsi

Qui non si capisce chi dovrebbe certificare cosa.

L’autofficina che effettua un intervento sul veicolo, utilizzando ricambi non originali, non credo proprio che avrebbe l’interesse di certificare questa circostanza.

Mentre il produttore dei ricambi non può sapere su quale veicolo verranno utilizzati.

Probabilmente ACI immagina una tracciatura di tutta la filiera, dal produttore del ricambio al veicolo sul quale viene montato. Al contrario di quanto avviene nell’ambito alimentare, non penso che la complessità e i costi di tale tracciatura siano giustificati.

Attestare gli interventi di manutenzione effettuati

In realtà non si capisce neppure perché un’autofficina dovrebbe perdere tempo per trasmettere i dati sul fascicolo digitale. La fattura degli interventi effettuati, ora pure in formato elettronico, assolve efficacemente a questa necessità.

Dovrebbe essere direttamente il proprietario a caricare la fattura nel fascicolo digitale, ma quale vantaggio reale avrebbe?

In generale c’è da dire che l’ACI, come del resto le banche che stanno sperimentando questa tecnologia, non hanno compreso fino in fondo l’utilità della blockchain.

Sfruttano la caratteristica immutabilità del dato ma tralasciano completamente quella di poter poggiare su una rete distribuita, quindi senza concentratori/regolatori (come lo sono ACI e le banche).

Satoshi Nakamoto, se esiste veramente (https://it.wikipedia.org/wiki/Satoshi_Nakamoto), da questo punto di vista, avrebbe certamente qualcosa da ridire.

In realtà l’unica vera utilità della tecnologia blockchain è il superamento dell’archivio PRA sostituito da un archivio distribuito dove verranno registrati i contratti di compravendita.

Al contrario resta invariata l’utilità certificativa del Ministero dei Trasporti che si limiterebbe a ristampare la Carta di circolazione senza entrare nel merito dei negozi intercorsi tra le parti.

Vedi a tal fine “Smart Contracts al posto degli atti di vendita?”

Seppelliti i social cosa ci rimane?

Mi rifaccio a questo articolo: Confessioni sui social di un marketer disilluso

https://www.forbes.it/sites/it/2018/09/13/confessioni-sui-social-di-un-marketer-disilluso/#4e5910cf3185

che, come di consueto per i più pigri, semplifico in un maleducato e personale riassunto.

Il buon Gianluca Diegoli ripercorre l’esperienza di molte imprese partendo da quando il web è diventato 2.0:

La community … doveva essere il perno delle attività. Le aziende poi dovevano “diventare publisher”, perché content is king. Ma ancora prima, dovevano aprire un blog.

Cosa che anche i consulenti automobilistici “più avanti” hanno fatto. La pubblicazione di notizie e news, da attività quasi giornaliera è diventata “appena ho due minuti” per finire a non essere più fatta.

Poi vennero i social, e la conseguente privatizzazione della conversazione: le aziende spostarono l’attenzione dai morenti blog aziendali e dalle languenti community alle pagine Facebook, in cui era più facile entrare in contatto con il consumatore connesso. Fu bellissimo illudersi di avere dei fan

Ancora oggi, molti consulenti non hanno neppure una pagina, utilizzano ancora un profilo personale.

Quelli che hanno la pagina dell’agenzia purtroppo possono contare numerosi colleghi-fan ma pochissimi clienti-fan 🙁

Le conversazioni delle community proprietarie si sono presto inaridite, e solo una su mille è risultata (Kpi alla mano) davvero utile al business … In tutti gli altri casi sono stati i venditori di setacci – e non i cercatori d’oro – a guadagnare: agenzie social e fornitori di piattaforme milionarie, su tutti.

E qui stendo un velo pietoso sull’attività Facebook di Sermetra. Certamente non sono state le agenzie socie a guadagnarci, ma purtroppo neppure la nostra società 🙁

Il contenuto sarà anche re, si diceva, ma il re è nudo: il branded content … è affogato in un mare di contenuti in cui nemmeno i publisher professionisti sembrano davvero aver capito come galleggiare. L’offerta di contenuti (mediocri) ha da tempo superato la domanda.


Il dramma della presenza aziendale su Facebook, a sua volta, coincide con il crollo del reach organico (dovuto a maggiori contenuti e alla concorrenza dei contenuti personali). La verità è che ci sono pochissimi brand che le persone desiderano davvero nel loro feed, nello spazio riservato agli “amici”.

E qui probabilmente una domanda dobbiamo farcela… è ancora pensabile produrre contenuti in-house senza avere personale specificatamente formato per questo? Io credo di no.

D’altra parte, le aziende non sembrano in buona sostanza aver poi sofferto troppo della mancanza di “conversazione”: hanno continuato a vendere semplicemente prodotti facendo pubblicità (magari diversa, più “umana”). Le persone hanno continuato a scegliere — in modo molto più informato — il prodotto con un rapporto qualità/prezzo sufficiente. Cosa dobbiamo farci, ora, con tutti quei canali social?

In questi ragionamenti, un po’ estremi ma certamente condivisibili, possiamo aggiungere anche la moda delle app.

Il Play Store contiene milioni di app anche se, mediamente, in Italia se ne utilizzano 9 (e usiamo tutti le stesse).

Ciononostante le imprese continuano giornalmente a pagare sviluppatori in grado di realizzare un app, uguale a centinaia di altre, ma con il proprio brand. E qui purtroppo stendiamo un altro velo pietoso sull’app MySermetra.

Ma torniamo alla domanda nel titolo del post, quindi se abbandoniamo anche i social cosa ci rimane?

Io credo che ci sono alcuni cavalli da battaglia da seguire, non nuovi, ma proprio per questo che ci danno maggiori garanzie:

1) I contenuti utili

Con quelli di intrattenimento non saremo più in grado di emergere, ma ci sono domande alle quali solo noi sappiamo rispondere. Vedi: https://www.easysta.it/i-video-istruttivi-fanno-bene-alla-brand-identity/

2) La ricerca di Google (e degli altri)

La ricerca organica e a pagamento risponde alla nostra prima e più importante esigenza: Portare nuovi clienti in agenzia proprio nel momento in cui hanno bisogno di noi. Vedi: https://www.easysta.it/s-adwords/

3) I dispositivi mobili

Insieme a tutto l’intrattenimento (vedi DAZN) anche tutte le altre attività si sposteranno progressivamente sull’unico dispositivo personale che può mostrarci un tasto per comprare, confermare, firmare ecc.

4) Le chat per conversare con i clienti-fan

Ma solo quelle che i clienti già hanno sul proprio smartphone, e in Italia non c’è scelta. Vedi: https://www.easysta.it/whatsapp-business-per-lagenzia-di-pratiche-auto/

Grazie dell’attenzione.

Roberto Pedrocchi

Omnicanale che?

Cominciamo da una definizione:
Il cliente ingaggia il brand utilizzando più e diverse modalità.

Nel nostro caso (agenzie/autoscuole) potrebbe venire incuriosito dallo spot radiofonico o da un banner su Autoscout. Poi potrebbe trovarci attraverso una ricerca su Google con parole specifiche oppure potrebbe cercare il nome del brand. Infine potrebbe chiamare direttamente l’agenzia attraverso il numero che ha visto sul giornale di quartiere.

Omnicanalità significa unificare tutti questi punti di contatto al fine di ricostruire un’immagine unica, veritiera e realistica del cliente.

L’ Osservatorio Omnichannel Customer Experience della School of Management del Politecnico di Milano ha voluto capire quanto le imprese abbiano compreso e applicato questo approccio al cliente:
https://www.zerounoweb.it/mobility/omnicanalita-tecnologie-e-processi-per-assicurare-continuita-al-rapporto-impresa-cliente/

A me preme però evidenziare un aspetto della questione. Nel post si può leggere:

“È arrivato il momento in cui l’azienda, proprio per assicurare un’esperienza fluida tra i canali di contatto, deve abbattere i silos interni e condividere i dati”.

E ancora:

“Raccogliere tutti i dati presenti in azienda (provenienti dall’ERP, dal CRM da tutti i sistemi IT) e unirli a quelli che arrivano dai negozi (dai sistemi di cassa per esempio), dalle mobile app, dai partner di filiera: insomma, mettere a fattor comune tutte le possibili informazioni strutturate o destrutturate e farle dialogare tra loro è il primo, fondamentale, aspetto su cui si deve basare un approccio omnicanale.”

Bene, ma noi (Sermetrini) non siamo un’azienda!
Vero, ma nulla ci vieta di comportarci come un’unica azienda.

Io credo che sia necessario prendere coscienza che nessuna agenzia/autoscuola può ragionevolmente pensare, da sola, di mettere a leva le moderne tecnologie di engagement sia per la mancanza di personale specificatamente formato sia per gli elevati costi da affrontare.

Al contrario, un progetto unico e condiviso, che sia in grado di creare valore vero e misurabile per noi soci, può permetterci di realizzare soluzioni performanti in grado di farci primeggiare su chiunque altro (ACI compreso).

Sullo stesso argomento, qualche tempo fa, postavo “George e la mutualità”:
https://www.easysta.it/george-e-la-mutualita/

“Mutualità e condivisione” sono parole ancora dannatamente attuali.

 

Sermetra, come ACI + di ACI

Ci sono parole che, per diffusione e notorietà, racchiudono in sé il proprio significato e non necessitano di ulteriori spiegazioni.

Per esempio Jeep è un brand eppure per molti è la parola che identifica un tipo di auto (da fuoristrada). Così come, per monti bambini, dire che “è una Ferrari” non significa necessariamente che è stata costruita nella fabbrica di Maranello ma che “è veloce come”.

Purtroppo o per fortuna anche nel nostro mondo c’è un brand che non ha bisogno di spiegare di cosa si occupa, una famosa pubblicità recitava “basta la parola”: ACI.
Il brand viene immediatamente abbinato al bollo auto, alle pratiche auto e al soccorso stradale.
Molto persone sono addirittura convinte che ACI sia un ente pubblico, alla stregua del Ministero dei Trasporti o della Regione Lombardia.

In ogni caso quello che ci interessa è: Come sfruttare la notorietà di ACI per dire agli automobilisti cosa facciamo noi?
La risposta è nella pubblicità comparativa.

Al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, in Italia (ma anche nella UE) non è la forma pubblicitaria più utilizzata. Il problema è che, nonostante sia consentita, apre alle imprese la possibilità di subire dei contenziosi legali da parte del brand comparato.

Eppure voglio pensare che, con un po’ di fantasia e del sano buon senso, possiamo trovare un messaggio corretto e che permetta all’automobilista/consumatore di ottenere un’informazione immediata sul fatto che esiste una vera alternativa.

Space l’app di ACI che utilizza dati non suoi

Proprio ieri mi sono imbattuto in questa notizia:
Aci presenta Space, l’app gratuita per avere l’auto sottocontrollo
http://www.sicurauto.it/news/aci-presenta-space-lapp-gratuita-per-avere-lauto-sottocontrollo.html

In particolare mi ha incuriosito il servizio Infotarga:

“Infotarga è un interessante servizio informativo, inserendo la targa di qualunque veicolo è possibile accedere ai suoi dati tecnici e commerciali (cilindrata, potenza, marca, modello, serie e versione). Informazioni importanti quando si deve acquistare un mezzo usato, accertandosi in tempo reale se risulta rubato o radiato dal P.R.A., inoltre è possibile conoscere il costo del passaggio di proprietà, quello del Bollo o i costi di gestione.”

Francamente ho subito pensato ad un errore del giornalista, com’era possibile che mi permettessero di visualizza tante informazioni su un’auto non mia?

Così ho scaricato e installato l’app e questi sono i dati che ho potuto visualizzare a seguito di una semplice registrazione:

Tutto bene no? No, anche no.
Io un problemino lo vedo, vediamo di capirlo.

I dati del PRA sono pubblici e non puoi farci un uso privato

ACI confeziona una bella app (è la moda del momento) che permette al cittadino di conoscere il mondo ACI e usufruire di una serie di servizi, alcuni dei quali riservati ai soci:
Con Around Me, visualizza i Punti (di servizio) ACI e gli sconti ACI.
Con SOS, ti chiama il carroattrezzi ACI, il medico convenzionato ACI e pure l’idraulico ACI.

Tutto bene? Si fino a qui.
Poi però ci infila dentro anche il servizio Infotarga, che può funzionare solo attraverso i dati del PRA.

Sappiamo tutti che, per il successo (o fallimento) di qualsiasi app, sono determinanti i dati che riesci a rendere “utili” per il cittadino.
Gli App-store sono pieni di app bellissime ma inutili (e quindi non scaricate o disinstallate dopo pochi utilizzi).

ACI sta utilizzando i dati del PRA per inserire nella propria app un’utilità, che nessuno ha, e spingere quindi tutti gli altri servizi targati ACI.

Ma i dati memorizzati nel PRA NON sono di ACI, ma dello Stato Italiano (di tutti noi).

ACI dovrebbe utilizzare le proprie indiscusse competenze tecniche per permettere, a chiunque abbia sviluppato un’app per la mobilità, di accedere e interfacciarsi con i dati del PRA.

Infatti un utilizzo diffuso dei dati rappresenta un volano per lo sviluppo della società dell’informazione e in generale un’opportunità per tutto il mondo dell’automotive.
Al contrario, un utilizzo monopolistico, serve solo a schiacciare e comprimere la possibile concorrenza.

ACI vuoi farti l’app? Bene, benissimo, ma non utilizzare i dati del PRA.

Elezione del Presidente dell’ACI per il quadriennio 2017-2020

Questo post è stato pubblicato per la prima volta sul forum-studi di UNASCA il 29/09/2016.

Gentili colleghi, ho dato un’occhiata curiosa al programma del probabile nuovo (vecchio) presidente di ACI.

Premesso che un “programma” non è Vangelo ed è probabile pure che si tengano qualche asso nella manica, volevo fare un paio di considerazioni su quello che leggo.

1 Il PRA è l’architrave su cui necessariamente appoggiare l’intero sistema ACI
Qualche anno fa ACI avrebbe giurato e spergiurato che il PRA, per loro, è solo un servizio per la collettività e che c’erano mille ragioni per non chiuderlo (il personale, le agenzie brutte e cattive, le garanzie per il sistema) ma certamente che non era per salvare l’ACI.
Evidentemente ora hanno deciso che è inutile nascondere questa simmetria tra l’esistenza del PRA e dell’ACI.

2 La selezione delle delegazioni passa attraverso un percorso di affiancamento commerciale, formazione permanente e aggiornamento professionale
Non che in passato ACI si sia limitato a ricoprire un ruolo di polo telematico o franchising commerciale, ma questa “selezione” legata alla fruizione di eventi mi sembra una novità spiacevole (per le delegazioni).

3 L’utilizzo della tessera, fisica o virtuale, dovrà diventare un’abitudine costante del socio
La tessera virtuale strizza l’occhio ai modelli social, al giorno d’oggi è una via obbligata.
Mi spaventa un po’ il fatto che, già ora, molti soci ACI non sanno neppure di essere soci (oppure sono morti senza avvisare ACI). La tessera virtuale potrebbe aprire la porta ad una lievitazione innaturale di soci.

4 Candidare il socio ad una possibile condizione di “Socio per sempre”
Dopo la chiesa (con il matrimonio) probabilmente sono gli unici che ambiscono a tanto.

5 Rendere l’immagine più “friendly”. Fortificare la cultura del “Gruppo”. Il lavoratore deve comprendere di essere il primo testimonial del nostro marchio. Dobbiamo veicolare messaggi positivi sul mondo ACI
Ecco questi sono i motivi per i quali ACI (primo o poi) fallirà.
Il gruppo, l’appartenenza, i valori non possono essere solo chiacchiere o messaggi da spingere verso il socio.
Se i tuoi delegati sono solo clienti, se i tuoi soci non hanno ancora capito perché rinnovano la tessera, se l’automobilista non ha ancora capito se stai dalla sua parte o se vuoi solo salvare la baracca (il PRA), non avrai vita lunga.

Speriamo.